giovedì 29 dicembre 2011



E verrà il giorno in cui ci ingloberemo come il carbonio e l'ossigeno...


mercoledì 28 dicembre 2011



Il paparazzo c'ha sempre ragione via...

Attese inermi










 "Come to me now. Come to Nicki. Don’t keep me waiting."



 

Viva l'apatia post-moderna



L'intento di Dave Meslin non è del tutto deprecabile.
Come mai la gente sembra sbattersene del tutto del sociale, mentre fa di tutto per emergere come individuo speciale in un mondo che ha fatto dello sciatto materialismo la sua filosofia di vita?
Sciatto sì perchè se vivessimo in un reale materialismo non avremmo neanche la religione e la morale a rompere i giochi ogni volta; non avremmo problemi etici sulla fecondazione assistita, sui matrimoni gay, sull'eutanasia e tutto ciò che concerne la vita umana.
Potremmo forse addirittura scannarci senza problemi...
Ma il fatto più grave è l'illusione di unicità.
Come si fa a legarsi a questo mondo materiale che produce in serie e poi pretendere di sentirsi originali? La strada per conseguire ciò è irta di spese folli, che ci allontanano dalle questioni più pressanti, costruendoci un muro intorno di oggetti dominanti che invadono i nostri spazi vitali. Tutto questo è benessere? Semmai sarà benestare, perchè io il benessere lo vedo come un qualcosa che va condiviso con gli altri.

A: "ciao come stai?"
B: "sto bene"

(e la conversazione, se non c'è qualcosa in comune tra A e B, di solito finisce qui, o al limite può essere rigirata la domanda iniziale, interpellando quindi A)

Un pò diverso sarebbe se andasse così...

A: "ciao, come sei?"

Senza dubbio qui il buon B andrebbe un pò più in difficoltà perchè si vedrebbe costretto all'angolo dal doversi mettere in gioco, esplicare ciò che ha dentro come un flusso continuo, un fiume in piena e non come un frammento isolato, facilmente modificabile e mascherabile.
Il "come stai" è agile nel salire le montagne, vi si arrocca ma poi è difficile da far cadere.
Il "come sei" invece è goffo in questo mondo, è incerto, si scorda quasi di esistere.

Ci sarà quindi un antidoto per l'apatia moderna? Dovremmo cominciare a porci le domande giuste.

martedì 27 dicembre 2011

Un modo di parlare

Ecco che le parole hanno bisogno di cura, di esser trattate bene...
Non possono rimanere chiuse in galera per anni,
all'interno di un corpo freddo.
Ecco perchè mi faccio schifo, per aver rispolverato 
una mia vecchia poesia,
così, tanto per mettere qualcosa in questo blog.
E allora visto che le mie parole sono latitanti faccio parlare 
questa banda di nuove onde che oggi ha saputo commuovermi il cuore.
 

TUXEDOMOON - IN A MANNER OF SPEAKING
 
In a Manner of speaking
I just want to say
That I could never forget the way
You told me everything
By saying nothing
In a manner of speaking
I don't understand
How love in silence becomes reprimand
But the way that i feel about you
Is beyond words
O give me the words
Give me the words
That tell me nothing
O give me the words
Give me the words
That tell me everything
In a manner of speaking
Semantics won't do
In this life that we live we live we only make do
And the way that we feel
Might have to be sacrified
So in a manner of speaking
I just want to say
That just like you I should find a way
To tell you everything
By saying nothing.
O give me the words
Give me the words
That tell me nothing
O give me the words
Give me the words
Give me the words

I colori del maggio

I colori del maggio
in un mantello verde
in cui l'occhio si perde
e risalgo la cima
senza sbriciolarmi.
Un soffio sempre più lento
o forse una ruota inceppata
mi sta frenando
senza il mio intento
senza il tuo corpo da mordere
e senza la mie penne prestate
mai riavute indietro.
E' tanto difficile ricordare?
Delle volte pare impossibile
vedere la miseria negli occhi,
così reale da ferirmi dentro.
Delle volte è perchè
manca la luce del Sole
per vedere i dettagli

domenica 11 dicembre 2011

Canti di tempesta

Comincio a guardarmi intorno, a respirare più profondamente l'aria di campagna che mi circonda in questo momento, gustandomela. Prendere le cose sul serio dopo una vita di scherzi non è facile.
E la tempesta intanto se ne vola via lontana, portando con sè la sua anima incazzata e purificatrice, un pò come la tua... Il desiderio di un'altra sigaretta mi distoglie dal continuare a scrivere - ma poi non potrei fumarla mentre scrivo? -
"Non va bene fumare in camera sai?"... me lo sento già ripetere in testa come un jingle.
Come mai ho iniziato a fumare? La noia principalmente, ma devo ammettere che quell'immagine veicolata dai vecchi film del fumatore figo mi ha condizionato parecchio nella scelta di questo stile di vita. L'obiettivo era proprio quello di fare l'esibizionista, senza tanti giri di parole. Ero proprio una persona sola in quel periodo, al ritorno da scuola mi sedevo spesso da solo visto che il mio amico, con cui avevo diviso il posto per quasi 4 anni, si era felicemente fidanzato e non potendo spendere molto tempo con lei una volta arrivato a casa per via dei genitori affidatari e neofascisti di lei, sfruttava tutto il viaggio di ritorno per non avere rimpianti. Quando non c'erano i miei amici nerd era una lotteria di appostamenti ed io speravo sempre nell'arrivo di qualche angelo salvatore. Non capitava quasi mai, ma quelle poche volte che è successo a ripensarci mi viene un senso che è un misto di vergogna, disprezzo, senonchè un mezzo sorriso per la mia inesperienza.
Di solito stavo per minuti interi in silenzio cercando di sbirciare con la coda dell'occhio le fattezze della persona che avevo accanto, rimanendo evidentemente molto rigido e impacciato, nonostante i miei divertenti tentativi di rimanere ed apparire disinvolto. Al che fantasticavo di una possibile vita con lei, un'uscita romantica, mi spingevo assai oltre e poi, o non dicevo nulla oppure esordivo con una domanda piuttosto inconsueta che faceva partire una conversazione che avrebbe portato ovviamente a poco di buono. Il fatto è che avevo paura di osare, di chiedere, di buttarmi e questo le ragazze lo notavano eccome. A volte il groppo in gola pure per chiedere il nome di una persona...ma è possibile?
Delle volte mi chiedo come abbia fatto a riprendermi, a tornare in mezzo alle persone dopo un'infanzia assai rurale, in cui preferivo di gran lunga spalare il concime delle vacche piuttosto che uscire con i compagni di scuola. Avevo il mio gruppetto di amici, tutti più giovani di me, i miei vicini di casa e mio fratello, con cui riuscivamo a fare di tutto fuori dalle mura di casa. C'era anche il tempo di giocare al pc o al Sega Master System, ma di sicuro si passava parecchio tempo fuori, erano pomeriggi davvero intensi, dove ci si faceva male per davvero. E mentre scrivo mi vengono in mente tutti i momenti, gli oggetti, le persone che affollavano la mia infanzia, nella loro lontana e opaca bellezza.
Adesso con loro non ho praticamente nessun tipo di contatto, apparte i saluti dalla macchina mentre torno o vado via da casa. Le strade si separano e ci separano non è vero?
Ma questa socialità ritrovata, la città, i locali, l'evoluzione artistica, il dover inventarsi una serata, il dover comprare da mangiare, a me sembrano tutte cazzate. Ho bisogno della terra, l'asfalto mi soffoca, le pareti mi spengono.
Non capisco i viaggi all'estero fatti per visitare le città... Dovrei essere grato a quegli stronzi che hanno invaso una terra un tempo bellissima per ammassare della gente per farla lavorare per i loro interessi?
Eppure ci sono delle evidenze, per molti saranno mie paranoie, che mi fanno pensare che le scie chimiche, gli infrarossi, le reti wireless, il digitale terrestre, lentamente ci stanno rammollendo, tutti, indiscriminatamente, ci faranno stare sempre più tempo rintanati in casa rassicurati da pseudonecessità, lontano da quella terra e da quel sole che ci dà la vita. Non ho bisogno del codice binario per vivere, e allora aspetto la prossima tempesta che sciacqui via dalla mia testa questi pensieri moribondi e faccia rimanere il tuo viso di stamattina in uno specchio d'acqua piovana.